Il ragazzino Morè, la Fiorentina e una Roma più forte delle leggi razziali

28/08/2014 alle 11:11.
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GASPORT (A. SMULEVICH) - «Quando Roma e si sfidano la mente torna a una giornata di fine primavera di tanti anni fa. Non è una partita come le altre. E mai potrà esserlo». A parlare è Vittorio Della Rocca, 80 anni, figura tra le più apprezzate e rappresentative della Comunità ebraica di Roma. Il Morè – come è chiamato al Portico d’Ottavia – lega all’incontro tra le due squadre uno dei momenti più significativi della sua gioventù. Una gioventù segnata dalle persecuzioni, dall’uccisione del padre, dai molti mesi trascorsi clandestinamente.

Pari di Amadei Giugno 1947: la via di fuga dagli orrori appena vissuti passa anche dalle piccole cose. Come una trasferta omaggio a Firenze, la prima della sua vita, al seguito della Magica. È il dono di un amico di famiglia per la maggiorità religiosa (Bar Mitzvah) conseguita in autunno e al 13enne Vittorio, tifoso romanista sfegatato, non sembra vero. «Un bel pareggio, 33, con il fornaretto Amadei a dare spettacolo», ricorda commosso.

Roma senza età Se gioca la Roma, ancora oggi intorno a Morè cala ancora oggi un silenzio «religioso ». Non ce n’è per nessuno, come quando – studente elementare – sfidava le restrizioni imposte agli ebrei dal fascismo ed entrava a Campo Testaccio. In piena legislazione razziale, la festa dello scudetto ‘4142 e l’illusoria sensazione di avere lo stesso diritto alla gioia dei suoi coetanei «ariani». «È stata un’epoca durissima. Di quegli anni resta però il ricordo di una passione che non mi ha abbandonato. La Roma è sempre la Roma. E l’attesa per una rete la stessa. A otto anni come ad ottanta».

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