I'm Dan Friedkin

28/11/2023 alle 11:50.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Abbiamo provato in modo presuntuoso a entrare nei pensieri del presidente della Roma. A sette mesi dalla scadenza dell'allenatore della Roma.

Sono Dan Friedkin. Ho preso una decisione. Non rinnoverò il contratto a Jose Mourinho. L'ho ingaggiato in piena primavera, quasi tre anni fa. Quasi tutti caddero dalla sedia quando mandammo on line il tweet per annunciare che sarebbe stato lui ad allenare la Roma. Questo signore a Roma l'ho portato io. Un'operazione della Madonna, una preparazione all'evento della presentazione in stile hollywoodiano. Guidavo io l'aereo che lo faceva sbarcare in Italia, fui io a defilarmi nella splendida sala capitolina che ospitò la conferenza stampa epocale, affinché i riflettori fossero tutti per lui. Sono io che ho deciso di salutarlo a fine stagione. Mossa impopolare? Sicuramente sì. Vi spiego le mie ragioni.

Sono insofferente alle critiche all'operato del club, che lui ritiene costruttive, soprattutto quando evidenzia che non ci esponiamo se la Roma viene danneggiata dagli arbitri. Noi abbiamo scelto una linea editoriale, non vogliamo scontrarci con le istituzioni. Mi colpisce quando sminuisce il valore della rosa, capisco poco di calcio, ma ritengo che la Roma sia competitiva. In più, quando la squadra vince, per gran parte della piazza è Mourinho che fa un miracolo, quando invece perde è colpa nostra. Non voglio parlare di invidia o rancore, sia chiaro. Ma ci fa ombra. Non trascuro neanche il fatto che i vertici federali, arbitrali, e quelli istituzionali europei lo vedono sempre di più come un elemento disturbante. Qualcuno dice che oggi Mourinho "rischia" di essere per me ciò che venticinque anni fa era diventato Zeman per Franco Sensi. Un personaggio troppo scomodo, un incendiario, che alla lunga, sussurrano, ci farà sempre guardare di traverso dai vertici. Quindi, sono legittimato a prendere questa decisione. Non rinnoverò il contratto di Mourinho.

Sono di nuovo io, Dan Friedkin. Ho preso una decisione. Rinnoverò il contratto con Mourinho. So che finora avete soltanto potuto interpretare i miei silenzi. Non sono abituato a mettermi davanti alle telecamere. Non ne ho bisogno. So di essere impopolare, so che nel calcio molto spesso paga il presenzialismo, che tanti colleghi vanno a cercarle le telecamere. Io no. Punto ai fatti. Ho portato a Roma Jose Mourinho, con somma sorpresa di quasi tutti. Spesso tra noi le linee editoriali, politico-calcistiche e comunicative sono agli antipodi. Ma io faccio il presidente della Roma. E devo guardare anche oltre. Siamo americani, ci è voluto un po' di tempo per oliare i meccanismi, da noi lo sport è agonismo e intrattenimento. In Europa, soprattutto nei Paesi latini, è vita quotidiana, è incidenza sull'umore, sugli stati d'animo. È trasporto. Abbiamo vinto insieme una coppa. Qui non si vinceva da quattordici anni. La seconda l'abbiamo mancata di un soffio. O di un fischio, quello che ci ha negato Taylor. Elemento discriminante. Quella sera, a Budapest, pur condividendo lo stato d'animo del nostro allenatore, per indole e per scelta nel post partita siamo stati catapultati agli antipodi. Lui rincorreva i dirigenti UEFA nel sottopassaggio dello stadio. Noi con altri dirigenti UEFA eravamo gomito a gomito in tribuna autorità. Possiamo provare a eliminare le storture che notiamo lungo il percorso, ma vogliamo farlo a modo nostro.

Ci siamo visti in Portogallo in pieno giugno, non abbiamo parlato di contratto, abbiamo fatto il punto della situazione, ci siamo detti a vicenda di andare avanti nell'ultimo anno dell'attuale accordo in grazia di Dio, nonostante vediamo il mondo da angolazioni distanti fra loro anni luce. Senza fissare appuntamenti. Sono passati tre mesi e mezzo dall'inizio della nuova stagione. Il Mister nelle ultime settimane ha manifestato la volontà di parlare, di confrontarsi, ha aperto a una discussione per il rinnovo del contratto. L'ho capito. Ma già da tempo stavo riflettendo. Perché al netto delle differenze che esistono nel modo di vedere il mondo, ho capito ciò che perderemmo se andasse via. Dovremmo essere perfetti nella scelta del sostituto, prendendo un top manager, oppure dovremmo essere perfetti noi del club se scegliessimo un tecnico in ascesa che però non ha il carisma e il magnetismo di Mourinho. Perché non credo, pur essendo io il meno esperto in materia calcistica, che esista al mondo un rapporto così viscerale e sanguigno come quello tra il nostro allenatore e la tifoseria.

Qualcosa di simile forse si riscontra all'Atletico , per Simeone, o a Liverpool, per Klopp. Ma sono comunque realtà storicamente più vincenti della nostra. Quindi io oggi capisco in via definitiva che per noi Mourinho rappresenta non soltanto un'arma in più per mettere in bacheca trofei e piazzamenti, ma esso stesso è un trofeo. Il trofeo del vanto. Si vede allo stadio. C'è il pienone da oltre due anni, manco fossimo primi in classifica dal 2021. Si respira in città, perché ovunque noto manifestazioni di affetto, un moto di orgoglio di chi ha consegnato a lui il vessillo e vede in lui la spada e lo scudo. Non posso non tenere tutto ciò in considerazione. Un modo di vivere la propria squadra diametralmente opposto rispetto a come noi viviamo lo sport in America. Ora l'ho capito definitivamente. E in più, per quanto a volte non sia facile tenergli testa, so bene che lui per me è sia fulmine sia parafulmine. Saetta folgorante se ti si scaglia addosso. Ma anche immunità totale, perché in fondo quando la Roma va male i tifosi più che disperarsi pensano che comunque hanno lui in panchina, e possono pensare in automatico che ci sia alle viste sempre un'altra partita, da vivere con lui in panchina. Sono Dan Friedkin. Ho deciso di rinnovare il contratto di Jose Mourinho. Voglio parlare con lui.

Occhio a questa seconda versione di Dan Friedkin. 

In the box - @augustociardi75

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