Uno, nessuno, centomila...Florenzi

19/09/2017 alle 00:37.
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LAROMA24.IT (LUCA TELESE) - Guardate che Alessandro Fiorenzi non è tornato "quello di prima". È arrivato un nuovo , che sembra più forte di quello di prima. Diceva Oscar Wilde che dopo i vent'anni ogni uomo è responsabile della faccia che si ritrova. Vero. Quella di Alessandro è cambiata, e non perché c'è qualche ruga in più, o per un filo di barba ad incorniciare il viso, o perché ha rimesso a posto qualche capriccio odontoiatrico di gioventù: lo è perché adesso Alessandro ha un altro primo piano. Oggi ha gli occhi che si fanno più grandi quando parla del suo calvario, del suo infortunio, della propria maturazione. Adesso ha una luce diversa nello sguardo, che è quella di chi ha visto il buio ed è riuscito a non rimanerne accecato.

Due infortuni consecutivi non sono una semplice cicatrice, un ghirigoro sul corpo, ma un viaggio intorno a se stessi: il più delle volte, chi si ritrova in queste avventure si smarrisce prima di riuscire a tornare. Proprio per questo, quando riesce nell'impresa - ecco cosa leggo in quegli occhi - ritorna più forte di prima. Vedere correre in campo sabato, contro il Verona, come una specie di micidiale stantuffo che fa su e giù, faceva pensare a quanto è mancato alla Roma in questi mesi.

Un ragazzo a due facce: tanto angelico e soave fuori dal rettangolo verde, tanto famelico e grintoso quando gioca. Anche perché Alessandro in 26 anni di carriera ha già consumato con noncuranza alcune vite: è stato un esordiente ragazzino, è diventato persino un videogioco, i tifosi lo considerano un figlioccio, dandogli l'affetto che solo i figli di Trigoria possono raccogliere, e lui ha persino regalato al mondo - in diretta televisiva - una nonna verace che non conoscevamo, ma che sempre avevamo desiderato di avere. è un enfant prodige, un figlio di Acilia, un periferico che è riuscito a conquistare la Capitale con unghie e denti, uno che non si tatua neanche un mignolo perché non sente il bisogno che la gente faccia "Ohhh!". Lui, anche senza tatuaggi non ha bisogno di farsi tributare ovazioni indotte perché quell'"Ohhh!" se lo porta dentro da casa.

Sembra un Rovazzi giallorosso, uno che ha ancora le guance che avvampano di rossore, uno che si prepara al salto di categoria fra l'adolescenza e la maturità, anche se non ha ancora raccolto tutto quel che si merita. Stupisce invece che Alessandro sia già riuscito a dare forma all'emergenza: non tutti ricordano che fu inventato terzino da , per rispondere a problemi di infermeria che flagellavano lo spogliatoio e per conservargli un ruolo da titolare malgrado la concorrenza degli acquisti eccellenti di . Ma chiunque lo veda in quel ruolo oggi immagina che si ritrovi su quella fascia da quando è nato. Scrivevano che aveva cambiato così tanti ruoli da perdere se stesso, ed invece eccolo lì, trasfigurato. Vero che un altro al suo posto sarebbe morto: ala, mezz'ala, terzino. Una volta persino mediano. Uno nessuno e centomila.

Ha subito due infortuni crudeli e drammatici: prima rompendosi il , in un campionato. E poi crollando sullo stesso ginocchio, solo un attimo prima di uscire da un lungo tunnel, durante una partita con la primavera, nel viaggio a tappe forzate di riavvicinamento all'agonismo. Beffa terribile, quella caduta, riscattata dall'epifania sontuosa del "turboflorenzi" di queste ore. Però il giocatore che resta - nelle videoteche e nella memoria - è quello che il 16 settembre 2015 lascia di stucco il con una prodezza: una pennellata temeraria, un missile fatto partire a 55 metri dalla porta. Quel pallonetto disegnato nel nulla che ha fatto dimenticare al malcapitato Ter Stegen il suo stesso nome, esorbita dalle categorie del calcio per diventare un frammento di Art. È come una pennellata di Picasso, come il verso di un poeta ossianico, come un film di Tarantino come un taglio nella tela di Fontana: può piacere o meno, ma prima non esisteva, se non come potenzialità.

Per me, peró, è una data, è un goal, che insieme raccontano tutta la storia: 20 dicembre 2015, segnare al e salvare il suo mister mentre tutto e tutti gli tirano contro, segnare controvento e raggiungerlo in panchina per dirgli che lui la sua missione è compiuta. Salvarlo dall'esonero e regalargli un altro Natale. Per quel goal, e quell'entusiasmo, cambiata gestione, Alessandro pagó anche un piccolo tributo al mobbing del certaldino dispettoso. Nulla, rispetto a quello che ha regalato al calcio: perché di uomini che riescono a segnare (una volta o tante) ce ne sono tanti: ma i veri campioni, alla fine, sono solo quelli che riescono ad attraversare le tempeste controvento da soli.

@LucaTelese - In The Box

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