Mirante: "Il cuore e Astori: le parate difficili"

29/03/2018 alle 16:12.
fiorentina-bologna

IL MESSAGGERO (B. SACCÀ) Pareti bianche e porte a vetri, nel centro sportivo di Casteldebole. Verdi le aiuole, azzurro il cielo. Su una poltrona della sala-stampa siede Antonio Mirante, il del . Occhi celesti e capelli biondi. Racconta e si racconta. Con cura sceglie le parole, che scivolano via lente. Una pausa, prima di ogni risposta.
Mirante, lei non giocherà contro la Roma per . L'ha fatto apposta, per caso?
«È il nervosismo dei tifosi, lo capisco: a volte ti fa dire di tutto. Ero diffidato e, nella partita con la Lazio, sono stato ammonito. Non posso credere che qualcuno pensi davvero che non so quello che faccio. Nella gara con la Lazio a me interessava portare punti a casa. Era un rischio, farsi ammonire. Tanto è vero che mi sono arrabbiato. Avrei potuto beccare un altro cartellino. Se avessi voluto prendere un'ammonizione, l'avrei presa alla fine. Ma non è proprio nel mio modo di pensare».
Sarà a Trigoria l'anno prossimo?
«Ragiono a breve scadenza. So quale ruolo andrei a ricoprire in una grande squadra. A oggi non credo che sia una possibilità, anche perché ho un contratto con il fino al 2019. A fine anno mi incontrerò con la società, tireremo le somme. Se la volontà di entrambi sarà di continuare, andremo insieme. Altrimenti mi troveranno loro una squadra...».
è uno dei migliori portieri al mondo?
«Due o tre sono fortissimi. è in auge, anche de Gea del Manchester United è bravissimo».
E Buffon?
«Buffon è in una fase di decisione. Quando smetterà ci renderemo conto di aver avuto la fortuna di vedere il più forte di tutti i tempi».
Il suo modello?
«Quando ero ragazzino mi piaceva Marchegiani. Ho sempre pensato che il debba avere molta tecnica e lui, non avendo molte qualità fisiche, era tecnicamente era fortissimo. Mi piaceva studiarlo. A pensarci, mi piaceva anche Taglialatela per come si vestiva. Il ruolo di ? Per me è stato amore a prima vista».
Neppure un dubbio?
«Frequentavo la comitiva di mio fratello maggiore ed essendo il più piccolo mi mettevano in porta. Da lì ho cominciato a prendere pallonate e mi è piaciuto da subito questo ruolo. In realtà ho avuto la tentazione di giocare da attaccante. Ma ho capito in fretta che il mio futuro sarebbe stato in porta».
Donnarumma è sopravvalutato?
«È un ragazzo che conosco da tempo. È nato nella mia scuola calcio. Mio padre allenava quei ragazzi e mi diceva che c'era un fenomeno. Nessuno pensava che Gigio fosse così precoce, ma bisogna dire che il Milan è stato coraggioso a buttarlo in campo. Lui ha la scintilla. E ha sia la testa sia il fisico. Non è sopravvalutato. Deve lavorare, sì, ma ha tanta qualità».
Un procuratore come Mino Raiola è un problema?
«Con un fenomeno come Donnarumma, non credo ci sia bisogno di un procuratore fenomeno. Anzi, viste le sue qualità, avrebbe poco bisogno di un procuratore».
Il suo rapporto con i social?
«Mi gestisco con equilibrio. Perché ci si confronta anche con gente maleducata, gente che sta fuori di testa. E bisogna esser bravi a ignorare».
A chi sente di dovere un «grazie»?
«La mia famiglia è stata un grande riferimento. Nessuno mai mi ha condizionato nelle scelte nemmeno quando ero giovane. Ho sempre deciso in autonomia. A 16 anni sono andato alla e l'ho scelto da un giorno all'altro, con tante difficoltà, però sono andato dritto per la mia strada».
Lei ha cominciato nel vivaio della . Quali ricordi conserva?
«Sono arrivato a Torino in un momento in cui il settore giovanile della era davvero forte. Investivano nei giovani. C'era una formazione a livello mentale che rendeva i ragazzi già pronti per giocare in un campionato professionistico».
Era la di Moggi.
«Era l'anno di , il 2000. Quando ci chiamavano in prima squadra durante la settimana, era una partita anche l'allenamento. Era alto livello. Tutto».
Perché andò via?
«Avevo bisogno di continuità. Avendo davanti Buffon, non potevo averla. Ho scelto prima il Crotone, poi il Siena, quindi sono tornato a Torino e ho fatto il secondo in Serie B. Però era inutile, per un di 24 anni, fare la riserva. E ho scelto di andar via per misurarmi ed essere protagonista il più possibile».
La Nazionale?
«È un capitolo che ho vissuto con piacere, ma non è un ricordo bello per me».

Perché?
«Non lo so. È una questione di scelte e le scelte non le giudico. Sono stato pre-convocato per il Mondiale del 2014 e per gli Europei del 2016. Forse meritavo di giocare una competizione importante, ma non sono andato per scelte tecniche, credo. È un rammarico grande. Per Euro 2016 avrei meritato di più. Ho partecipato allo stage, poi il ct ha preso altre decisioni. Peccato. Era per me l'ultima occasione per disputare una competizione a livello di nazionale».
È soddisfatto della carriera?
«Oggi so che sono in Serie A e ho giocato tante partite. Non potrei mai lamentarmi. Sono soddisfatto di me, pur avendo qualche rammarico. Dai tempi di Parma ho avuto una crescita continua e ne sono contento. Ho sempre lavorato con professionalità. A me piace la responsabilità, non sono uno che fa tante scene in porta. Vedermi in campo la domenica per me è già tanto».

Un pensiero per Davide Astori.
«C'è stato uno smarrimento nello spogliatoi. Un senso di impotenza, di vuoto, che ci ha coinvolti in prima persona. Io ho conosciuto Davide in Nazionale. Questa tragedia ci ha toccato perché è stato un episodio che lo ha coinvolto nella nostra quotidianità. In un ritiro... Mi sono sentito indebolito. A volte la notorietà, lo star bene, gli allenamenti ti fanno credere invincibile. Vedere una cosa del genere, per me che ho avuto quel problema, mi ha indebolito. Ancor di più per il ragazzo che era. La sua testimonianza. Era uno di noi, Davide. A volte non mi capacito di come la faccia ad andare avanti».

Nel 2016 lei si è fermato per un problema cardiaco.Cosa si prova in quei momenti?
«Ho trovato un equilibrio quando ho capito le cose si stavano sistemando. Inizialmente ho avuto lo sconforto di chi pensa di dover smettere di giocare. Di chi pensa a un problema serio di salute. Ti cadono addosso mille pensieri. Però ricordo bene una cosa».

Prego.
«Ero a casa, dopo le prime visite. Mio padre mi ha detto: Ti vedo giù, sei sconfortato. E poi. Hai 32 anni, hai giocato tanto in Serie A, ti puoi ritenere fortunato. Se hai un problema ti fermeranno, magari non giocherai più. Però ritieniti fortunato».
E poi?
«È stata una cosa a cui non avevo pensato: ovviamente mi sentivo e mi sento giovane. E quelle parole mi hanno fatto riflettere. Perché pensato anche ai casi più negativi, visto che avevo un problema al cuore. Così da quel giorno ho cominciato a vedere le cose in maniera diversa. Forse ho accettato di più il fatto che potesse essere sì una cosa seria ma che influenzasse troppo la mia vita. Perché so che c'è altro oltre al calcio. In quel momento ho capito il discorso di mio padre e lì è cominciata la discesa».

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