Capitan America

28/05/2017 alle 14:10.
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IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Ci sono quei momenti in cui non ti senti più a casa tua, che vivi da estraneo e che hai più la sensazione di essere sopportato e non amato come prima. Ci sono, ci sono. E’ capitato a , nato e cresciuto a Trigoria. Se la racconti, non ci si crede. E’ passato dall’ «è il figlio maschio che non ho mai avuto (cit Franco Sensi)» a «pigro (cit Franco Baldini)», fino a «tappo che frena la crescita degli altri (cit Walter e non solo)». è invecchiato così nella Roma, in discendenza di gradimento dal 2011, quando aveva 35 anni e quando Sensi è stato sostituito dalla proprietà Usa. E oggi ci sono tanti tifosi che non vedono l’ora che si faccia da parte: e sbaglia quando parla, e sbaglia se non parla, e sbaglia se soffre per non essere entrato nemmeno un minuto nello stadio di San Siro pronto a fargli la festa. Sbaglia in quanto , in quanto emblema del tottismo, che qui non fa più rima con il romanismo, anzi né è l’antitesi, il suo contrario. Il processo di decadenza è cominciato – oltre che con l’avanzare dell’età – proprio con il passaggio di consegne tra la famiglia Sensi e il team americano, che ha cambiato presidenti e manager durante questo percorso. Una discendenza, appunto, di gradimento. , passati questi ultimi anni, è diventato sempre più ingombrante, al netto degli errori che anche lui avrà commesso. Anche se sono gli stessi che commette da quando aveva 18 anni, ma all’epoca nessuno ci faceva caso. Erano sopportati gli errori, oggi lo è lui.

TUTTO COMINCIÒ – Fu Franco Baldini, nel 2011 ancora general manager della Nazionale inglese. Pronti via, intervistona del ds del terzo scudetto: botta a . «Pigro». Pigro inteso come uno che si è poggiato su se stesso, sulla sua Roma (e viceversa) che non ha mai fatto il salto di qualità e che il club non lo ha potuto fare con lui e grazie a lui. Qualche tempo dopo, querelle con , che lo ha definito «il capitano della gente». Come a dire: è uno che ormai fa audience, ma non sostanza. Perché? Perché aveva solo espresso un parere sul mercato di quel periodo: «Non siamo al livello di , Milan e , per vincere servono i campioni, i giocatori che voglio io non arriveranno». Per non parlare poi della fatica anche da calciatore, ricordando i primi tempi con Luis Enrique e l’esclusione/sostituzione nel preliminare di Europa League con lo Slovan Bratislava. Giocò Okaka. Oggi Luis, che poi con il ha vinto tutto, definisce così: «Non solo a Roma, ma per tutto il mondo, è una leggenda». Durante il periodo era cominciato il tormentone rinnovo: aveva chiesto di giocare fino ai quaranta e alla fine il biennale è stato fatto. Non era scontatissimo ma alla fine è stato fatto. Con quel contratto, il capitano, finiva la carriera nel giugno precedente ai quarant’anni. Ma questo conta poco: conta che si sentiva di andare avanti e il rinnovo, stavolta, è diventato problematico. Non c’era questa intenzione, si respirava, si palpava. Non si diceva con evidenza, che il rinnovo non era in programma.

RAPPORTI AI MINIMI , che nel frattempo era diventato il suo allenatore, è andato nel pallone: ha preso lui in mano la situazione e, dopo un’intervista del capitano nella quale chiedeva rispetto, è stato lasciato a casa. Non convocato per Roma-Palermo. Un unicum. cacciato da casa sua, questo è diventato. Poi la storia ha detto che quel ragazzo con la maglia numero dieci addosso e la fascia da capitano al braccio da un ventennio, ha decido di essere ancora decisivo: gol al Torino, al , all’Atalanta, assist vari e lacrime di gioia di tanti tifosi, tornati ad emozionarsi per un calciatore. E il contratto è stato allungato di un altro anno. Ora siamo agli sgoccioli e comincia il tormentone: farà il dirigente oppure continuerà a giocare altrove. Dipenderà da come si sente o se si sente accettato o meno da chi dovrà lavorare con lui dentro Trigoria. Comunque vada, c’è la possibilità che non sia un successo. Strano ma vero, se realizziamo che si parla di .

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