Una storia d’amore infinita. Così Roma festeggia i 40 anni del suo Peter Pan

27/09/2016 alle 14:36.
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LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Ci siamo. Ogni età ha la sua innocenza. Eppure non esiste un’età perfetta, lo sappiamo, non c’è età senza tranelli. Quando sei ragazzino sei troppo acerbo. Quando sei adulto magari sei acciaccato. Quando sei anziano ti senti ancora un ragazzino. festeggia. La città meno. L’amore per ciò che è stato (ed è ancora) andrà spegnendosi come una candela esposta al vento dei cambiamenti, che soffia sempre nella stessa direzione, dall’oggi al domani. E sono cambiamenti silenziosi come la nebbia. Impietosi. Aprono voragini d’affetto. Spalancano il passato, che non vorresti mai chiamare così. Al netto delle polemiche innescate da sua moglie, al netto del tempo che non conosce vergogna, Peter Pan è ancora un lusso per tutti, ammirarlo è un onore, così come il sentirsi suoi contemporanei. I suoi 40 anni non riguardano soltanto gli invitati di stasera al Castello di Tor Crescenza. Ci mancherebbe. Sono un patrimonio di almeno quattro generazioni di appassionati. Travalicano le frontiere perché travalicano il senso dell’essere, più o meno intimamente, “giallorossi”. vive, respira, segna e lancia come un adolescente. Ma l’adolescente nasconde l’adulto. E l’adulto ha imparato a conoscere se stesso attraverso le tante buche incontrate durante il viaggio.

A volte gli abbiamo visto perdere l’equilibrio: quando si è fatto male, quando stava per lasciare Roma, quando lo hanno accusato di fare il bello e il cattivo tempo, quando recentemente era diventato Peter Pan, perché non riusciva a vederlo, nemmeno per sbaglio, titolare, e se lo portava sempre in panchina. Mai il coraggio. Ora Checco apprezza il valore dello sforzo almeno quanto quello del riposo, che è il compagno di stanza dell’agonismo. Ora sa che per giocare più a lungo non può più giocare sempre, né a ritmi elevati. è il testimonial assoluto della professionalità casalinga, segreto motore delle sue pubbliche grandezze, con o senza le esternazioni di Ilary. Con qualche fetta di salame in più, con un pezzo di cioccolata sbagliato, sembreranno pure stupidaggini, ma lui lo sa che non sarebbe ancora qui. Il mix di età e genio (la prima si muove, il secondo è fermo) è reso possibile dal combinarsi della passione che non si consuma e della disciplina nella gestione del corpo, che è un tipo di passione meno mediatica, è il volersi bene in nome di qualcuno, qualcosa, la gente, la Roma, l’Italia, il pallone.È passato alla condizione di “master” senza flettere di un solo grado l’angolo del suo rapporto col calcio. Ci domandiamo soltanto come faccia, uno che già segnava in serie A quando molti dei suoi attuali compagni prendevano il biberon, cosa abbia fatto, nella sua genetica semplicità, per mantenere inalterato lo status quo del talento. I 40 anni di , artisticamente parlando, corrispondono agli 82 di Leonard Cohen e ai 91 di Andrea Camilleri. Sono stelle geneticamente dotate di un altro splendore. Sono anime fresche in corpi stanchi, sono la plateale contraddizione di chi disse: “La fiamma che brucia per metà tempo brucia al doppio dell’intensità”.

è la coda di una cometa ormai invisibile, il calcio di un’epoca forse meno sporca, meno malata, meno ossessivamente minata dalle aspettative e dalla tecnologia. Con le sue meraviglie ci ha trascinato verso il mare, in una corsa a perdifiato, piena di occhi sgranati, di stupore e di fantasie mescolate alla realtà, come quella di Jean-Pierre Léaud nel finale dei “Quattrocento colpi” di Truffaut. Poi uno sguardo alla cinepresa, in torsione, come se stesse colpendo di testa tutto il calcio o l’intera storia del cinema: ma che succede, è davvero così bello il mare? E’ stato davvero così bello. E profondo come solo il mare e l’amo- re sanno essere. Nessu- no riesce a immaginare un “do- po”. E Francesco è il primo. Disegnare Roma senza il suo profilo equivale a impiastrare il foglio bianco di scarabocchi. Ma prima o poi quei piedi smetteranno. E saranno lacrime.

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