Garcia riposiziona la Juve al primo posto: «Altro che outsider»

02/08/2014 alle 11:39.
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CORSERA (M. GAGGI) - «Incredibile come le cose possano cambiare in 12 mesi: il nostro ambiente è passato dallo stato d’animo di chi è sprofondato in una catastrofe a un clima di euforia. Io sono per una via di mezzo: veniamo da una stagione record e siamo ambiziosi, non lo nascondo. Puntiamo in alto. Ma c’è chi ha vinto tre scudetti di fila e ha preso giocatori come Evra e Morata. Non ha senso trattarli come outsider: i favoriti restano loro». Finito l’allenamento a porte di chiuse sul campo della University of Pennsylvania, alla vigilia della partita di oggi con l’Inter a Filadelfia, il primo scontro diretto tra due «grandi» italiane che si giocano le residue possibilità d’accesso alla finale della Guinness Cup, approfitta delle domande del Corriere e di alcune testate sportive per fare il punto sui progressi della squadra, ma anche sul lavoro psicologico che va fatto sui giocatori e sull’ambiente per evitare che si creino pericolose illusioni. Quello della Roma è stato, per ora, il mercato migliore, ma gli impegni che aspettano la squadra sono molto duri e preoccupano l’allenatore. Esordio in campionato a fine agosto con una squadra forte e ambiziosa, la . Poi subito la in un girone di certo durissimo per la squadra di che arriva ai sorteggi in quarta fascia. «La rosa più completa che abbiamo adesso era indispensabile per affrontare gli impegni» dice il coach giallorosso. «Sette partite a settembre, altre sette a ottobre. Spesso giocheremo ogni tre giorni. Sarà comunque durissima, anche perché in Italia si parte in ritardo rispetto al resto d’Europa. Il campionato comincia dopo gli altri. Quando si arriva alla Coppa Campioni le squadre straniere sono più avanti con la preparazione di quelle italiane. Capisco che ci sono problemi culturali, che in Italia agosto è un mese particolare, ma se tutta l’Europa va in un’altra direzione, sarebbe meglio anticipare anche qui. Credo che i dirigenti del calcio italiano debbano riflettere su questo». un richiamo ai dirigenti lo fa anche sulla questione del razzismo quando gli chiediamo della polemica sulle banane e dei timori che una stagione che per la Roma si presenta assai promettente possa essere in parte rovinata dall’intolleranza di alcune frange della tifoseria: «La bellezza del calcio è che negli spogliatoi il colore della pelle e la religione non contano, è importante solo come hai giocato. Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per far sì che la stessa cosa accada tra i tifosi. Ci vuole soprattutto l’impegno dei dirigenti. Una questione sulla quale i dirigenti del calcio dovrebbero essere d’esempio». Messaggio chiaro, anche se Tavecchio non viene mai citato. E forse nelle parole di c’è anche uno sprone alla dirigenza romanista ad essere ancora più determinata nella lotta al razzismo dentro gli stadi. Quanto alla tournée americana, è apparso soddisfatto tanto dall’esperienza sociale e sportiva («stadi pieni, clima festoso, le squadre più forti del mondo tutte negli Usa nello stesso periodo, una promozione del calcio di grande valore che oggi facciamo in America, domani magari in Indonesia e nel resto dell’Asia») quanto dei risultati tecnici: «Col Manchester United abbiamo perso, ma quel giorno abbiamo schierato una squadra giovane che, comunque, non ha mai sofferto sul piano tattico, non ha mostrato squilibri gravi. Certo, poi abbiamo preso tre gol in 10 minuti perché loro hanno grandi campioni, ma ho visto una bella reazione, la squadra ha mostrato carattere». Col Real Madrid la Roma ha vinto, ma ha qualcosa di dire: «Dobbiamo imparare a tenere meglio la palla: all’inizio abbiamo sofferto il loro pressing e abbiamo sbagliato troppi passaggi. Non si può con la squadra che abbiamo».

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