La storia di Selva: "Segno per il San Marino, sogno l'Olimpico"

17/10/2009 alle 10:50.

IL ROMANISTA (T. RICCARDI) - Si può essere un calciatore, tra i più forti della storia del proprio paese, che in Nazionale gioca sempre e solo con la maglia numero dieci e la fascia di capitano al braccio, con lo stipendio di un onesto mestierante del pallone di serie C? Si può. E’ il destino un po’ crudele di Andy Selva, il Totti di San Marino e del Verona.

Dica la verità, Selva. Non è un po’ frustrante giocare per una nazionale che prende tanti gol a partita e non vince mai?

«No, anzi, è sempre un onore rappresentare la propria nazione. Il rammarico, piuttosto, è non aver mai giocato contro l’Italia. Lì avrei potuto incontrare i miei idoli giallorossi».

Già, lei è romanista.

«Da sempre. Fu mio padre a portarmi allo stadio per la prima volta. Non all’Olimpico, in trasferta a Firenze. Ero piccolo, la Roma vinse, ma non ricordo l’anno».

E cosa ricorda bene, invece?

«Il 17 giugno 2001 allo stadio Olimpico: Roma-Parma, la gara che decise lo scudetto. Andai in . Un’emozione senza precedenti».

Inutile chiederle se le piacerebbe vestire quella maglia anche solo per un minuto.

«Sarebbe un sogno, un sogno ad occhi aperti. Non solo per la Roma, soprattutto per quegli ottantamila appassionati sugli spalti».

Il suo anno di nascita, 1976, è lo stesso di . Ci ha mai pensato?

«Lui è immenso, è il capitano, non si discute. Ho sentito che è stato criticato per il rinnovo del contratto. Perché Maldini non ha preso tanti soldi anche a fine carriera? Magari tutti i vecchi segnassero come fa lui».

Soddisfatto per quanto ottenuto in carriera?

«Gratificato. Mi cercano sempre società di primo livello dei campionati di categoria. Significa di aver fatto bene. Certo, poi tutti ambiscono di poter arrivare il più in alto possibile. Ma ci vuole anche fortuna. Due anni fa con il Sassuolo ho contribuito alla promozione in serie B, segnando 15 gol. Poteva essere il salto di qualità definitivo, e invece la rottura del ha interrotto la mia corsa. Dopo tanti anni di sacrifici avevo raggiunto un obiettivo importante. Peccato».

Però non si è arreso.

«No, perché amo questo sport, non avrei fatto nessun altro lavoro se non il calciatore. Voglio giocare ancora a lungo.

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